USA: censura di Stato sul web? A rischio anche "Tor"

E' mobilitazione generale, negli Stati Uniti, per la possibile approvazione in Parlamento della cosiddetta normativa SOPA, acronimo di "Stop Online Piracy Act".

E’ mobilitazione generale, negli Stati Uniti, per la possibile approvazione in Parlamento della cosiddetta normativa SOPA, acronimo di “Stop Online Piracy Act“. Si tratta di una disposizione che, stando a quanto dichiarato, dovrebbe fungere da strumento più efficace per la lotta alla pirateria digitale ma che in realtà, secondo in giudizio di molti, pone nelle mani “degli aventi diritto” (aziende e soggetti privati) un potere che non dovrebbe loro competere. Tra i punti fissati dalla nuova legge vi sarebbero una serie di modalità che permetterebbero l'”oscuramento veloce” dei siti web ritenuti colpevoli di presunte violazioni del copyright. I detrattori del SOPA, pur riconoscendo la necessità di tutelare la proprietà intellettuale, sostengono che il provvedimento possa immediatamente configurarsi come un grave pericolo per la libertà d’espressione in Rete: potrebbe potenzialmente essere sufficiente la pubblicazione di un solo contenuto lesivo dell’altrui diritto d’autore perché possa essere bloccato un intero dominio Internet. La scure potrebbe abbattersi su tutti: dai blog amatoriali sino ai siti commerciali più grandi e conosciuti. Potrebbe bastare un video lesivo del copyright su YouTube, un post su un blog WordPress od un contenuto ospitato su un sito di “file hosting” per provocare un oscuramento completo del sito. Il SOPA, che per molti aspetti ricorda il contestatissimo provvedimento AGCOM presentato in terra nostrana (ved. questo nostro articolo), ha sollevato un vespaio di polemiche. Si sono subito schierate in trincea molte aziende operanti nel settore dell’IT, provider Internet, società attive nel settore dei nuovi media: tra i nomi di coloro che hanno manifestato la loro contrarierà al SOPA vi sono AOL, Boing Boing, Creative Commons, Disqus, eBay, Facebook, foursquare, Google, Grooveshark, Kaspersky, LinkedIn, Mozilla, MetaFilter, OpenDNS, Reddit, PayPal, Torrentfreak, Tumblr, Twitter, Yahoo!, Zynga, Scribd, Wikipedia, Github, Hostgator, ESET e tante altre realtà aziendali. Sono 120, invece, le società che hanno deciso di supportare il SOPA esprimendo parere favorevole.

Una postilla presente nelle nuove disposizioni, inoltre, potrebbe di fatto metter fuori legge tutti i software che tutelano l’anonimato degli utenti in Rete. La prima applicazione a cadere sotto la scure di SOPA potrebbe essere Tor: si tratta di un noto sistema di comunicazione online che protegge gli utenti dall’analisi del traffico attraverso l’impiego di un network di onion router gestiti da volontari. Il traffico dati non transita quindi più direttamente da client e server e viceversa ma passa attraverso dei router che costruiscono un circuito virtuale crittografato a strati (da qui il termine “onion” che in italiano è traducibile col termine “cipolla“). Dal momento che tutte le informazioni vengono dinamicamente cifrate, nessun osservatore posto in un qualunque punto del “tragitto”, è in grado di conoscere l’origine o la destinazione dei pacchetti dati.

Dal momento che il SOPA permette l’avvio di vertenze legali nei confronti di qualunque persona, organizzazione senza scopo di lucro od azienda che distribuisca prodotti o servizi utilizzabili per eludere i blocchi eretti per evitare che siti web ospitanti materiale “piratato” possano essere visitati, gli osservatori ritengono che l’esistenza di tutti i software di anonimato possa essere sotto scacco. “Tor“, ad esempio, è in primis un programma che consente di tutelare il proprio anominato durante la navigazione in Rete ma non è escluso che possa essere utilizzato dagli utenti anche come strumento per effettuare il download da siti web ospitanti, senza alcuna autorizzazione, materiale soggetto a copyright.

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