Un miliardo di dollari in gioco, la privacy degli utenti a rischio, il copyright da tutelare.
La Corte Suprema degli Stati Uniti si prepara a pronunciarsi su una delle questioni più divisive dell’era digitale: devono i fornitori di servizi internet rispondere legalmente quando i loro abbonati scaricano illegalmente musica e contenuti protetti da copyright?
Il caso Cox Communications contro le major discografiche (Sony Music Entertainment, Warner e Universal) rappresenta lo scontro tra due visioni opposte della responsabilità online, con implicazioni che si estenderanno ben oltre il singolo contenzioso e ridisegneranno gli equilibri tra libertà digitale, tutela dei diritti d’autore e protezione della privacy.
Cox contro le major discografiche: origini della controversia
Nel 2018 le principali etichette discografiche hanno citato in giudizio Cox, accusandola di tolleranza sistematica verso la pirateria.
Secondo l’accusa, l’azienda aveva ricevuto migliaia di notifiche relative al download illegale di oltre 10.000 brani ma non aveva intrapreso azioni efficaci per contrastarla. La giuria di primo grado ha ritenuto Cox responsabile sia per contributory infringement che per vicarious infringement, imponendo un risarcimento da 1 miliardo di dollari.
Nel 2024, la Corte d’Appello del Quarto Circuito ha rivisto parzialmente il verdetto: confermata la responsabilità per concorso nella violazione, ma cassata quella per vicarious infringement. Questa decisione ha rappresentato un compromesso significativo che ha comunque riconosciuto la colpevolezza di Cox nell’aver facilitato le attività di pirateria online.
Nella fase successiva del processo la Corte Suprema dovrà affrontare due questioni centrali e profondamente complicate: fino a che punto un ISP è obbligato a disconnettere un utente dopo condotte illegittime? E quando la negligenza di un fornitore può essere considerata “volontaria” se non conosce pienamente le implicazioni legali delle proprie scelte?
Questi interrogativi rivelano il conflitto tra due principi fondamentali: la necessità di proteggere la proprietà intellettuale da parte di artisti e case discografiche come Sony Music Entertainment, e il dovere di garantire il diritto di accesso a internet, un servizio ormai essenziale per la società moderna. Il copyright rappresenta uno strumento cruciale per incentivare la creatività, tuttavia la sua applicazione nel contesto degli ISP solleva questioni complesse di responsabilità e proporzionalità.
Le posizioni a confronto nelle udienze di questi giorni
La giudice Sonia Sotomayor ha denunciato un atteggiamento permissivo che favorirebbe la pirateria online su larga scala, evidenziando come Cox avrebbe potuto fare di più per proteggere i diritti dei detentori di copyright.
Il giudice Samuel Alito ha invece sottolineato l’impossibilità pratica di sospendere i servizi in ambienti come le università, dove individuare responsabili specifici risulta estremamente difficile. Cox sostiene che obblighi di sospensione automatica porterebbero a disconnessioni arbitrarie con gravi conseguenze sulla libertà di espressione e sul diritto di accesso, mentre le etichette ribattono che l’azienda ha deliberatamente evitato controlli per trarne vantaggi economici. Il ruolo dell’ISP in questo contesto rappresenta il fulcro della controversia.
Uno scenario di vittoria delle major comporterebbe l’adozione di sistemi di monitoraggio più invasivi e sospensioni frequenti, con effetti negativi su privacy e neutralità della rete. La pirateria online verrebbe contenuta più aggressivamente, ma a costo della sorveglianza capillare. Una sentenza favorevole agli ISP trasferirebbe l’onere della repressione interamente sui titolari dei diritti di copyright, costringendoli a perseguire milioni di singoli utenti con risorse e tempi spesso proibitivi.