Nel cuore di una disputa legale con implicazioni importanti in termini di privacy e protezione dei dati, OpenAI si oppone duramente a un’ordinanza del tribunale distrettuale di New York che impone il salvataggio e la conservazione di tutti i log delle conversazioni di ChatGPT, comprese quelle eliminate manualmente e quelle riservate provenienti dall’uso del servizio tramite API (Application Programming Interfaces). Mentre in Italia il Garante Privacy aveva a suo tempo “richiamato all’ordine” OpenAI (con l’azienda che ha ritenuto di dover sospendere il servizio del nostro Paese per alcuni mesi e ha poi vinto il primo round della battaglia presso il tribunale di Roma – procedimento n. 4785/2025 del 21 marzo 2025 – ottenendo la sospensione della sanzione), negli USA la stessa società lamenta un’ingerenza giudiziaria “senza fondamento” che minaccia milioni di utenti e le sue politiche di protezione dei dati.
ChatGPT usato per superare i paywall
La controversia d’Oltreoceano nasce da un’ipotesi avanzata dal New York Times e da altri media: alcuni utenti di ChatGPT avrebbero potuto usare lo strumento di OpenAI per aggirare i paywall delle testate giornalistiche, eliminando poi le conversazioni con il chatbot per nascondere le prove di un possibile illecito. Secondo i querelanti, quindi, OpenAI avrebbe fornito agli utenti i mezzi per eliminare informazioni potenzialmente rilevanti per il caso, pur avendo portato in tribunale alcune porzioni di conversazioni su esplicita autorizzazione degli utenti.
I giudici impongono a OpenAI di conservare i log delle conversazioni ChatGPT: apriti cielo!
Il giudice Ona Wang ha accolto la richiesta dell’accusa e ha emesso un’ordinanza che obbliga OpenAI di conservare tutti i log delle conversazioni generate su ChatGPT, anche quelli riguardanti chat che gli utenti cancellano volontariamente o che sono avviate nella modalità “chat temporanea” e quindi appositamente configurate per non essere salvate. La prescrizione del giudice si applica anche ai dati gestiti tramite API, solitamente soggetti a politiche di retention predefinite e a specifici accordi contrattuali personalizzati.
Le obiezioni di OpenAI: privacy violata e oneri sproporzionati
OpenAI contesta l’ordinanza definendola sproporzionata e “senza giusta causa”. In un documento depositato presso la corte, l’azienda sottolinea come non vi sia alcuna prova concreta di cancellazione intenzionale di dati o di uso sistematico di ChatGPT per accedere illegalmente a contenuti protetti da copyright.
“L’ordinanza obbliga OpenAI a violare gli impegni presi con gli utenti in materia di privacy e a disattendere le sue stesse policy interne“, si legge nel documento. “L’imposizione di conservare tutte le conversazioni – anche quelle esplicitamente eliminate – mette a rischio i nostri utenti, i nostri partner aziendali e la nostra conformità a normative globali sulla protezione dei dati“.
La società guidata da Sam Altman evidenzia inoltre i costi tecnici ed economici elevati legati al rispetto dell’ordinanza, che comporterebbe la riallocazione di ingenti risorse ingegneristiche e l’adozione di nuove infrastrutture di archiviazione per memorizzare dati che, per contratto o per scelta degli utenti, dovrebbero essere eliminati.
I rischi per gli utenti: dati riservati, segreti industriali, privacy violata
OpenAI ha fornito esempi concreti per illustrare la gravità della situazione. Le conversazioni di ChatGPT possono contenere informazioni strettamente personali, finanziarie, dati aziendali riservati come progetti strategici, segreti industriali o contenuti coperti da NDA (Non-Disclosure Agreement). Gli utenti aziendali che integrano ChatGPT via API sono particolarmente vulnerabili: la loro attività potrebbe essere soggetta a obblighi di riservatezza incompatibili con l’ordinanza di conservazione.
Nel documento legale, OpenAI segnala che molti utenti stanno dimostrando il loro disappunto, addirittura con manifestazioni di panico. Su LinkedIn e X sono apparsi post che definiscono l’ordinanza un “rischio di sicurezza inaccettabile”, con suggerimenti per migrare verso piattaforme concorrenti come Mistral AI o Google Gemini.
D’altra parte, la decisione del giudice statunitense sembra cozzare frontalmente con le prescrizioni contenute, ad esempio, nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). Conservare forzatamente i log, anche quelli relativi a chat cancellate, è una violazione del patto di fiducia con gli utenti.
Implicazioni giuridiche e normative
Gli stessi portavoce di OpenAI osservano come l’ordinanza rischi di provocare palesi violazioni contrattuali, con un’evidente non conformità di fonda con il GDPR europeo e ad altre normative internazionali sulla protezione dei dati. Le clausole che consentivano agli utenti di eliminare i propri dati o di scegliere di non partecipare all’addestramento dei modelli sono ora invalidate da un ordine giudiziario, con potenziali conseguenze legali.
La difesa di OpenAI sottolinea che l’azienda non si è mai rifiutata di collaborare, ma ritiene che il salvataggio indiscriminato dei dati debba essere motivato da una necessità sostanziale, che ad oggi i querelanti non hanno dimostrato. In assenza di una base probatoria concreta, l’azienda chiede che l’ordinanza sia annullata o almeno sospesa, in attesa di ulteriori sviluppi processuali.
Il caso descrive uno scontro, che d’ora in avanti sarà sempre più frequente, tra la tutela del copyright e la protezione della privacy. Due pilastri del diritto che qui sembrano scontrarsi frontalmente. La decisione finale potrebbe fare giurisprudenza su come le piattaforme AI devono bilanciare la conservazione dei dati per fini giudiziari con il rispetto della volontà degli utenti e, soprattutto, del loro diritto alla riservatezza.