All’inizio di luglio 2025, in tanti hanno “avvistato” la distribuzione dell’aggiornamento KB5001716 da parte di Microsoft. Si tratta di un aggiornamento ricorrente, del quale abbiamo ampiamente parlato in passato, progettato non per introdurre nuove funzionalità o patch di sicurezza, ma per incentivare gli utenti all’upgrade a una versione più recente di Windows, in particolare da Windows 10 a Windows 11.
Fino a poco tempo fa, l’aggiornamento KB5001716 era installato silenziosamente in background. A seguito delle recenti segnalazioni, Microsoft ha chiarito che il comportamento è cambiato: ora l’installazione è visibile e più trasparente per l’utente. Ma la questione si è ulteriormente complicata con la scoperta che KB5001716 potrebbe proporre l’aggiornamento a Windows 11 anche su sistemi che non soddisfano ufficialmente i requisiti minimi, in particolare sulle macchine in cui il chip TPM risulta assente o disabilitato.
Windows 11 proposto su un sistema con TPM disattivato
Fioccano le testimonianze di lettori che hanno ricevuto l’offerta di aggiornamento a Windows 11 su sistemi con il modulo TPM disabilitato lato BIOS. Viene citato, in particolare, il caso di un dispositivo Lenovo IdeaPad S145-15IWL dotato di processore Intel Core i5 di ottava generazione quindi, in linea con i requisiti minimi imposti da Microsoft per Windows 11, almeno sul piano della CPU. Che poi esiste una sorta di cortocircuito: Windows 11 si installa da zero su PC dotati di CPU non supportate senza usare trucchi mentre non è possibile effettuare un aggiornamento.
L’utente in questione aveva deliberatamente disabilitato il TPM per evitare aggiornamenti forzati: ebbene, nonostante questa configurazione, Windows 10 ha ripetutamente offerto la possibilità di aggiornare a Windows 11.
TPM: condizione “non negoziabile”… ma forse non sempre applicata?
L’obbligatorietà del TPM 2.0 per Windows 11 è stata definita da Microsoft come uno standard non negoziabile, introdotto per migliorare la sicurezza dei dispositivi, in particolare contro minacce come i bootkit e gli attacchi a livello di firmware.
La posizione ufficiale dell’azienda di Redmond non è cambiata, nemmeno dopo il recente aggiornamento delle linee guida sui requisiti hardware per la versione 24H2 di Windows 11, orientate ai nuovi PC AI-based. TPM resta quindi un requisito formale e strutturale.
Ciò rende ancora più interessante e anomalo il comportamento osservato: è possibile che la proposta di aggiornamento sia stata un errore temporaneo, oppure il risultato di un bug nel sistema di distribuzione degli aggiornamenti? In alternativa, potrebbero essere entrate in gioco variabili legate a impostazioni BIOS meno evidenti, come una modalità firmware che simula la presenza del TPM anche nello stato disattivato.
Microsoft sta cambiando approccio?
È ancora presto per trarre conclusioni. Potrebbe trattarsi semplicemente di un’eccezione isolata, di un glitch nel processo di distribuzione oppure di un effetto collaterale legato all’introduzione di recenti modifiche non ancora documentate ufficialmente.
Tuttavia, in un momento in cui Microsoft sta cercando di accelerare la migrazione a Windows 11, in vista della fine del supporto a Windows 10 (prevista per ottobre 2025), non è da escludere che la società stia valutando strategie più flessibili per ampliare la base di utenti. Anche perché, secondo varie analisi di mercato, Windows 10 resta ancora largamente predominante, soprattutto nelle PMI e nei contesti aziendali.
Quanto rilevato nel caso del sistema Lenovo IdeaPad citato in precedenza lascia ipotizzare anche un possibile test interno di Microsoft, volto a valutare la fattibilità o la tolleranza dell’ecosistema rispetto a un eventuale allentamento dei criteri di aggiornamento.