Coronavirus: gli Stati Uniti progettano di tracciare gli spostamenti degli utenti

Al momento il progetto sembra ancora in fase embrionale ma i tecnici della Casa Bianca avrebbero avviato colloqui con Google, Facebook e altre realtà IT per accedere ai dati di geolocalizzazione dei cittadini.

Com’è noto, i governi di Paesi quali Stati Uniti e Regno Unito sono stati un po’ alla finestra quando l’epidemia di COVID-19 (nuovo Coronavirus) ha iniziato a dilagare. L’atteggiamento è parso a molti irragionevolmente approssimativo e superficiale tanto che adesso le valutazioni sembrano essere radicalmente cambiate.

Addirittura l’amministrazione USA starebbe esplorando nuove soluzioni per arginare i contagi. I tecnici della Casa Bianca starebbero già colloquiando con i “big” tecnologici come Google e Facebook per utilizzare i dati di geolocalizzazione dei cittadini statunitensi. Stando a quanto riferito, le informazioni verrebbero elaborate e riutilizzate in forma anonima ma verrebbero messe nelle mani di specialisti per tracciare l’epidemia e scongiurare movimenti non necessari da parte di ciascun soggetto.

Il progetto è in fase iniziale e la task force che se ne occupa ha messo sul tavolo varie idee che spaziano dalla mappatura della malattia all’erogazione di servizi di telemedicina.

Usare i dati continuamente raccolti dagli operatori di telefonia mobile e dalle app installate sui singoli dispositivi non è un’idea originale. Il mese scorso la Cina ha rilasciato un’applicazione che permette alle persone di controllare attraverso l’utilizzo di codici QR se sono state o meno in stretto contatto con chiunque sia stato infettato dal Coronavirus.
Dopo una dettagliata analisi, è stato scoperto che l’app cinese invierebbe i dati di geolocalizzazione dei cittadini direttamente alle forza di polizia, una mossa che è stata oggetto di critica perché – soprattutto a breve e medio termine – potrebbe facilitare il tracciamento degli spostamenti in maniera un po’ troppo invasiva.

Secondo il New York Times, Israele starebbe già usando i dati dei dispositivi mobili dei cittadini elaborare mappe sulla diffusione della malattia ricostruendo la catena dei contagi. Il governo israeliano non avrebbe informato gli interessati circa le sue abilità nella raccolta dei dati di geolocalizzazione sollevando già qualche rimostranza sul versante della tutela della privacy di ciascun individuo.

Da un lato si potrebbe sostenere che la privacy non è la priorità assoluta quando l’obiettivo è quello di tutelare la salute delle persone, soprattutto a fronte di un rischio pandemico che è già attuale. Come facciamo però a sapere che alcuni governi non useranno i dati raccolti, ad esempio, per rintracciare i dissidenti o offrire trattamento preferenziali? Quali garanzie abbiamo che le autorità cancelleranno tutti i dati una volta che l’emergenza sarà solamente un brutto ricordo?

Non sono ovviamente domande facili alle quali rispondere, ma sono comunque quesiti importanti da considerare perché potrebbero tornare di attualità quando il Coronavirus sarà finalmente sconfitto.

Proprio ieri, il Garante Privacy italiano Antonello Soro ha spiegato che le misure debbono comunque essere proporzionate e limitate nel tempo.
Anche in Italia, infatti, si è parlato dell’ipotesi di tracciare i cellulari per controllare gli spostamenti dei cittadini all’interno del territorio nazionale.

Secondo Soro finora non è stato proposto nulla di concreto e “bisognerebbe conoscere proposte più definite“. Il Garante si limita ad osservare che le esperienze cinesi e coreane per il monitoraggio dei cittadini sono “maturate in ordinamenti con scarsa attenzione – sebbene in grado diverso – per le libertà individuali“.
In ogni caso mi sfugge l’utilità di una sorveglianza generalizzata alla quale non dovesse conseguire sia una gestione efficiente e trasparente di una mole così estesa di dati, sia un conseguente test diagnostico altrettanto generalizzato e sincronizzato“, sostiene Soro. “Premesso questo, non esistono preclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali. Vanno studiate però molto attentamente le modalità più opportune e proporzionate alle esigenze di prevenzione, senza cedere alla tentazione della scorciatoia tecnologica solo perché apparentemente più comoda, ma valutando attentamente benefici attesi e “costi”, anche in termini di sacrifici imposti alle nostre libertà“.

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