Molte stampanti laser inseriscono un codice nascosto in tutte le pagine

EFF aveva evidenziato il problema già del 2005: oggi molte stampanti laser a colori continuano a stampare in ogni pagina un codice di riconoscimento invisibile all'occhio umano. Chi sa dove guardare può risalire alla stampante e, di conseguenza, all'utente che ha prodotto un documento.

Sapevate che molte delle moderne stampanti laser a colori inseriscono delle impronte identificative invisibili su ciascuna pagina prodotta?
I puntini apposti sul foglio consentono di stabilire, attraverso una particolare codifica, quale stampante è stata utilizzata e la data della stampa del documento.

Dal momento che i punti in questione non sono visibili all’occhio umano, la stragrande maggioranza degli utenti non si sono mai accorti della loro presenza. Le informazioni apposte sulle pagine possono però consente, a chi sa cosa e dove cercare, di risalire alla stampante che ha prodotto un certo documento.


Di questo comportamento, che accomuna molte delle stampanti commerciali oggi disponibili sul mercato, avevamo già parlato in passato.
Sebbene in alcuni servizi apparsi in questi giorni su certi organi di stampa si presenti questa caratteristica come una scelta oculata e apprezzabile, congegnata per risalire al possibile autore di una contraffazione, va detto che la steganografia di stampa è da tempo al centro di una battaglia condotta in primis dalla EFF (Electronic Frontier Foundation) insieme con utenti, consumatori e tecnici in difesa della privacy e dei diritti del singolo.

La steganografia di stampa è una pratica che consiste nell’inserimento, da parte della stampante, di una serie di minuscoli puntini di colore giallo. Di solito si tratta di un motivo visibile solo al buio illuminando il foglio stampato con una luce blu.
Il punti gialli stampati dalle laser a colori sono stati studiati per essere normalmente molto difficili da distinguere e del tutto irrilevabili a occhio nudo (hanno un diametro pari a 0,025 millimetri).

In questa pagina EFF indica alcuni esempi di stampanti che fanno uso dei cosiddetti tracking dots o printer dots (l’elenco non è purtroppo più aggiornato).

Gli utenti non sono informati del comportamento tenuto da alcuni modelli di stampanti; così l’Europarlamento è stato più volte coinvolto affinché assumesse una posizione chiara sull’argomento. Dal momento che sul tema, noto da almeno 15 anni, non sono state prese decisioni, i ricercatori dell’Università tecnica di Dresda (Germania) hanno voluto sviluppare un software (DEDA, Dots Extraction, Decoding and Anonymization) che permette di rendere anonimo il documento stampato.

L’applicazione DEDA, realizzata in Python e scaricabile da questa pagina su GitHub, è stata rilasciata a fine giugno 2018 e riesce ad alterare il marcatore inserito dalla stampante su ciascun foglio così da proteggere la privacy e soprattutto impedire di risalire all’identità dell’utente.
In un’intervista, uno degli autori di DEDA ha confermato che i tracking dots di colore giallo vengono utilizzati dalla maggioranza delle stampanti laser e ha spiegato che nessun produttore di stampanti ha fornito le chiavi per decodificare i motivi formati da punti. Solo un produttore ha risposto ai ricercatori tedeschi spiegando di non trovarsi nelle condizioni per fornire le informazioni richieste.

I tracking dots vengono considerati una minaccia per la privacy e per le libertà dell’individuo.
Si pensi ad esempio ai cosiddetti whistleblower (termine sempre più utilizzato anche in Italia) ovvero quei soggetti che denunciano o riferiscono alle autorità di attività illecite o fraudolente all’interno del governo, di un’organizzazione pubblica/privata o di un’azienda.
Per sostenere le loro tesi i whistleblower si avvalgono di documentazione stampata: la presenza dei tracking dots può facilmente rivelare la loro identità o comunque la provenienza dei documenti.

Non è un caso che i tracking dots siano utilizzati nelle stampanti laser a colori e non nelle inkjet perché le prime sono evidentemente usate nelle imprese di grandi dimensioni, negli enti governativi e nella pubblica amministrazione. Già negli anni ’90 alcuni produttori di stampanti iniziarono a implementare i tracking dots per convincere i governi sul fatto che le loro stampanti non potessero essere usate per la contraffazione o attività illecite.

I nodi però oggi vengono al pettine e da più parti viene chiesta maggiore chiarezza sull’argomento.

Come vedere i tracking dots con uno scanner

Utilizzando uno scanner e impostandolo a 600 dpi (vedere Scannerizzare: i migliori parametri per acquisire da scanner foto e documenti di testo) è possibile provare a verificare autonomamente la presenza dei tracking dots sulle proprie stampe con laser a colori.

Dopo aver acquisito il foglio stampato con lo scanner, è possibile usare un software come GIMP, accedere al menu Livelli, Canali, Tracciati quindi deselezionare i canali rosso e verde in modo da lasciare visibile solo il blu.
Usando un altro software libero come ImageMagick si può impartire il comando convert -channel RG -fx 0 scansione.tiff blu.png per creare un nuovo file blu.png contenente solo il canale blu, generato a partire dal file acquisito da scanner (scansione.tiff). Si dovrebbero così riconoscere, con un po’ di pazienza, gli eventuali tracking dots presenti.

Tutto dipende dal firmware della stampante

Il software DEDA consente di “creare confusione” sul motivo stampato e rendere illeggibili – quindi non decodificabili – i tracking dots (le istruzioni per l’utilizzo in Windows e Linux sono disponibili a questo indirizzo).

Le istruzioni per inserire i tracking dots sono presenti nel firmware della stampante ovvero nel software che ne sovrintende il funzionamento.
A titolo di curiosità basti pensare che il firmware della stampante multifunzione riesce a riconoscere i tentativi di stampa o copia di riproduzioni di banconote.
Sebbene la stampa di una banconota non possa essere considerata reato quando essa non avvenga su un supporto tale da rendere difficilmente distinguibile il falso dall’originale, le moderne stampanti sono in grado di riconoscere la presenza della cosiddetta costellazione di EURione, un particolare motivo che si trova sulle banconote di moltissimi Paesi all’incirca dal 1996.
Quando si trovano dinanzi a elementi che presentano tali disegni, le stampanti si rifiutano di produrre la stampa e visualizzano un messaggio d’errore mentre di editor grafici espongono un messaggio che invita a non procedere con l’elaborazione non autorizzata.

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