FTC indaga su Gmail: filtri antispam accusati di favoritismo politico

La FTC accusa Alphabet di applicare filtri antispam su Gmail a danno dei Repubblicani. Google nega favoritismi, ma il caso riapre il dibattito sulla neutralità.
FTC indaga su Gmail: filtri antispam accusati di favoritismo politico

Nel pieno della campagna elettorale statunitense, una nuova controversia scuote il mondo delle big tech e accende il dibattito pubblico su trasparenza e imparzialità digitale.

Al centro delle polemiche si trova Gmail, il popolare servizio di posta elettronica, accusato di mettere in atto una discriminazione algoritmica a danno di una specifica parte politica. Secondo quanto riportato da fonti autorevoli, tra cui il New York Post, e rilanciato in una lettera ufficiale inviata al CEO di Google Sundar Pichai, il presidente della Federal Trade Commission (FTC), Andrew Ferguson, ha sollevato gravi dubbi sulla neutralità dei filtri antispam della piattaforma.

L’accusa, diretta e circostanziata, ruota attorno a una presunta forma di favoritismo politico: i messaggi inviati da mittenti repubblicani, in particolare quelli contenenti link alla piattaforma di raccolta fondi WinRed, finirebbero sistematicamente nella cartella spam degli utenti. Al contrario, le comunicazioni analoghe indirizzate verso il sito democratico ActBlue sembrerebbero “fuggire” ai ai rigidi controlli automatizzati e raggiungendo regolarmente le caselle di posta principale.

La società di consulenza Targeted Victory avrebbe raccolto dati e documentazione a supporto di questa tesi, alimentando così una discussione che va ben oltre la semplice gestione tecnica delle email.

La risposta di Google alle accuse

Il presidente della FTC ha sottolineato che tali pratiche, se confermate, potrebbero costituire una violazione del FTC Act, normativa che vieta comportamenti commerciali sleali o ingannevoli. L’eventuale discriminazione algoritmica aprirebbe quindi la strada a una formale indagine federale, con possibili ripercussioni legali per Alphabet e per l’intero ecosistema dei servizi digitali.

La posta in gioco è altissima: si tratta di garantire la neutralità della rete e il corretto svolgimento del dibattito democratico, senza che algoritmi opachi possano alterare gli equilibri della partecipazione politica.

Non si è fatta attendere la replica di Google, che tramite un portavoce intervistato da Axios ha respinto ogni accusa. L’azienda ha ribadito che i filtri antispam vengono applicati secondo criteri rigorosamente oggettivi, basati su parametri come le segnalazioni degli utenti o comportamenti sospetti di marketing. “Applichiamo questi parametri in modo equo a tutti i mittenti, senza alcuna distinzione ideologica”, ha dichiarato Google, sottolineando la disponibilità a collaborare con la FTC per chiarire ogni aspetto della vicenda.

Questa non è la prima volta che i giganti tecnologici vengono accusati di minare la libertà di espressione e la trasparenza online. Nel corso del 2023, reclami simili erano già stati presentati davanti alla Federal Election Commission e a un tribunale federale, venendo però respinti per mancanza di prove concrete. Nonostante ciò, il Comitato Nazionale Repubblicano sembra intenzionato a proseguire la propria battaglia legale, come confermato da recenti sviluppi giudiziari riportati da Reuters.

In questo scenario, la vicenda di Gmail rappresenta solo l’ultimo capitolo di una più ampia riflessione sulla responsabilità delle big tech nel preservare l’integrità del dibattito pubblico. La trasparenza degli algoritmi, la vigilanza delle autorità di controllo e la tutela dei diritti digitali dei cittadini diventano così temi centrali per il futuro della democrazia nell’era dell’informazione.

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