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Pavel Durov torna a a parlare di quando, esattamente un anno fa, fu arrestato in Francia e poi rilasciato dopo pochi giorni. Il fondatore di Telegram, noto per le sue posizioni radicali a difesa della privacy, ha riaffermato la sua linea intransigente riguardo la protezione dei messaggi privati degli utenti. In un intervento Telegram e su X, Durov ha dichiarato senza mezzi termini: “Preferirei morire piuttosto che fornire backdoor ai messaggi privati”, sottolineando così la centralità della riservatezza nella sua visione di piattaforma di messaggistica.
Ancora nessuna accusa formale
A distanza di un anno dall’arresto in Francia, Pavel Durov si trova ancora sotto i riflettori. L’episodio, avvenuto nell’agosto 2023, lo ha visto trattenuto per quattro giorni dalle autorità francesi nell’ambito di una indagine per presunto favoreggiamento di attività criminali tramite Telegram. Durov stesso definisce quell’arresto come “un episodio senza precedenti e assurdo sia dal punto di vista legale che logico”, rimarcando di essere stato trattenuto “perché persone sconosciute hanno utilizzato Telegram per coordinare crimini”.
Nonostante siano trascorsi dodici mesi, l’indagine non ha prodotto prove concrete a carico del CEO russo-emiratino, che continua però a essere soggetto a restrizioni come l’obbligo di presentarsi regolarmente in Francia. Nel frattempo, Durov non smette di denunciare pubblicamente le pressioni e le richieste delle autorità, ribadendo la sua posizione: “Nessuna entità esterna avrà mai accesso ai messaggi privati scambiati su Telegram”.
Telegram: regno della privacy, o del crimine?
Fondata nel 2013, Telegram si è progressivamente affermata come una delle principali piattaforme di messaggistica, distinguendosi per la sua attenzione alla sicurezza digitale e alla tutela dei dati personali. Tuttavia, questa stessa attenzione ha sollevato critiche: diversi osservatori accusano l’applicazione di non adottare strumenti sufficientemente efficaci per il contrasto alla diffusione di contenuti illeciti.
Sul tema della moderazione contenuti, Durov difende le politiche della sua azienda, sostenendo che rispettano pienamente gli standard del settore. A suo dire, Telegram collabora con le autorità quando riceve richieste formalmente e legalmente vincolanti, ma si rifiuta categoricamente di concedere accesso indiscriminato alle comunicazioni degli utenti. In questo senso, il fondatore ricorda la sua scelta del 2014 di lasciare la Russia dopo essersi rifiutato di consegnare dati sensibili al Cremlino, rafforzando così la sua credibilità come difensore della privacy.
Il caso Durov evidenzia la tensione sempre più marcata tra esigenze di sicurezza pubblica e tutela della riservatezza nell’ecosistema digitale contemporaneo. Da una parte, le autorità governative chiedono maggiore trasparenza e strumenti di controllo per combattere la criminalità; dall’altra, sviluppatori e imprenditori come Durov si fanno portavoce della difesa dei diritti fondamentali degli utenti, considerando la privacy un principio irrinunciabile.
Tutto questo proprio mentre alcuni governi del Vecchio Continente, come quello del Regno Unito, cedono alle pressioni americane e rinunciano ad obbligare Apple a mettere una backdoor nei suoi iPhone.