Il 30 giugno 2025, la svizzera Proton, nota per servizi come Proton Mail e Proton VPN, ha annunciato di essersi unita a una class action USA contro Apple, accusando la multinazionale di pratiche monopolistiche e scorrette che danneggiano sviluppatori e consumatori. L’iniziativa legale, avviata presso la Corte Distrettuale della California del Nord, mira non solo a ottenere un risarcimento economico, ma soprattutto a modificare in modo strutturale le politiche dell’App Store, che secondo Proton minano la concorrenza, la privacy e la libertà d’espressione nel mondo digitale.
Per Proton, azienda impegnata da anni nella tutela della privacy e nella promozione di un Web aperto e sicuro, è giunto il momento di agire anche sul piano giudiziario. Secondo i legali della società elvetica, senza un’azione concreta negli States, Apple potrebbe continuare ad applicare comportamenti già sanzionati in altre giurisdizioni, con conseguenze dirette su utenti e sviluppatori, soprattutto in termini di prezzi gonfiati, minore scelta, esperienze utente peggiori e minore rispetto per i diritti digitali.
Il monopolio Apple sotto accusa
Secondo Proton, il controllo assoluto esercitato da Apple sulla distribuzione delle app su iPhone e iPad comporta numerosi effetti distorsivi:
- Violazioni della privacy: le politiche dell’App Store favorirebbero modelli di business basati sulla monetizzazione dei dati personali, come quelli di Meta e Google, penalizzando invece servizi privacy-first come quelli di Proton.
- Censura e cooperazione con i regimi autoritari: nella suo nota, i portavoce di Proton spiegano che Apple avrebbe dimostrato di piegarsi alle richieste di censura provenienti da governi autoritari, rimuovendo VPN e app informative dall’App Store cinese e russo. Un comportamento che, sempre secondo le valutazioni di Proton, trasformerebbe la casa di Cupertino in uno strumento contro la libertà di espressione.
- Esperienza utente degradata: le regole imposte agli sviluppatori impediscono una gestione fluida degli abbonamenti, bloccano link a pagine di supporto esterne e vietano qualsiasi indicazione su tariffe più convenienti disponibili fuori dall’ecosistema Apple.
- Restrizioni tecniche arbitrarie: app concorrenti ai servizi Apple non possono essere impostate come predefinite, né sono in grado di accedere a funzioni di sistema. L’azienda svizzera cita, ad esempio, il caso delle sue Proton Calendar e Proton Drive.
- Imposizione di tariffe esose: il prelievo del 30% su ogni pagamento in-app viene definito da Proton come un “dazio digitale” privo di giustificazione economica reale, utile solo a garantire un margine di profitto “astronomico” ad Apple (secondo i dati del caso Epic Games v. Apple, si parla del 78%).
Una questione di libertà, diritti e futuro della rete
Proton descrive la sua azioni non soltanto come una battaglia per la concorrenza: la dipinge come una fondamentale questione di principio. L’azienda ritiene che la concentrazione di potere nelle mani di pochi oligopoli tecnologici rappresenti una minaccia sistemica per la democrazia e la libertà online.
Le app mobili sono oggi il principale veicolo attraverso cui miliardi di persone accedono ai servizi digitali: controllare la distribuzione delle app equivale, di fatto, a controllare l’accesso all’informazione e alla partecipazione civile.
Proton sottolinea che devolverà eventuali risarcimenti ricevuti a organizzazioni che promuovono diritti umani e democrazia attraverso la Proton Foundation, confermando così il proprio impegno per una tecnologia al servizio del bene pubblico.
Il contesto legale internazionale
Proton rammenta anche altri contesti in cui Apple è stata di recente accusata di comportamenti anticoncorrenziali.
L’Unione Europea, il 22 aprile 2025, ha multato Apple per 500 milioni di euro per violazione delle norme sulla concorrenza: ne parlavamo nell’articolo sulle violazioni del Digital Markets Act (DMA).
Pochi giorni dopo, il 30 aprile, la giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha stabilito che Apple ha deliberatamente eluso un ordine della corte nel contesto del caso Epic Games vs. Apple, definendo il comportamento dell’azienda così grave da meritare un’eventuale indagine penale da parte delle autorità federali statunitensi.
Il 30 giugno, il giudice Xavier Neals ha rigettato la richiesta di archiviazione dell’azione antitrust del Dipartimento di Giustizia statunitense (DOJ), riconoscendo la sussistenza di prove sufficienti su una condotta monopolistica della Mela.
Anche Regno Unito, Brasile, Paesi Bassi e Corea del Sud hanno già riconosciuto la necessità di riformare le politiche di Apple, ritenute potenzialmente lesive per l’innovazione e la libertà digitale.