Secondo quanto riporta il Washington Post gli Stati Uniti stanno preparando per TP-Link un trattamento simile a quello già riservato a Huawei: ban totale dal territorio americano, per tutelare la sicurezza nazionale contro i rischi di spionaggio della Cina.
Se ne starebbe discutendo già da mesi, in seno a diversi Dipartimenti e Agenzie federali, ma non ci sarebbe ancora un provvedimento ufficiale. La questione, però, è già pubblica e l’azienda si è già difesa con dichiarazioni ufficiali.
TP-Link è un pericolo per gli USA
TP-Link opera negli Stati Uniti tramite l’azienda TP-Link Systems, con sede in California, che è formalmente scollegata da TP-Link Technologies, che è la casa madre cinese. Secondo molti dirigenti e politici americani, però, questo non limita il rischio di pericolosissime ingerenze cinesi nella vita economica, politica e sociale americana.
Questo perché ogni cinese, residente in Cina o all’estero, deve per legge obbedire a qualunque richiesta del Governo di Pechino per tutelare la sicurezza della Repubblica Popolare.
Se Pechino lo chiede, questa è la tesi dell’accusa, TP-Link deve comunicare al Partito qualunque informazione richiesta, anche se è raccolta in USA, da router e apparati di rete in uso a cittadini americani.
Sempre secondo questa accusa, inoltre, TP-Link potrebbe aprire backdoor o installare malware per lo spionaggio all’interno dei suoi device, al fine di spiare gli americani.
Poiché TP-Link in USA ha il 36% del mercato dei dispositivi di rete domestica, se l’accusa è vera allora il problema è enorme.
TP-Link si difende
TP-Link Systems, chiaramente, si difende da ogni accusa e afferma di essere ormai un’azienda completamente americana, senza alcun legame legale o politico con TP-Link Technologies.
Per questo motivo, quindi, danneggiare TP-Link Systems vuol dire far male ad una azienda americana, senza fare alcunché alla Cina.
Sempre secondo TP-Link Systems, poi, l’attuale atteggiamento del Governo USA nei suoi confronti servirebbe a negoziare da una posizione di maggiore forza con i cinesi, nell’ormai ben nota disputa sui dazi incrociati.
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