In rete sono disponibili alcuni servizi che permettono di conservare pagine Web. In altre parole, creano un'”istantanea” del contenuto di qualsiasi pagina Web e lo memorizzano, in modo che sia possibile stabilire come si presentava in un certo momento. Il servizio più famoso è Wayback Machine dell’Internet Archive: conserva copie multiple delle stesse pagine e dà modo di effettuare vari generi di verifiche sul materiale pubblicato online. Ci sono però altri servizi simili, anch’essi molto utilizzati, come Archive.today o Archive.is che si basa su un principio molto simile, spingendosi però un po’ più in là. Tanto da aver raccolto l’attenzione degli agenti FBI.
Identikit di Archive.today
Mentre Google ha scelto Wayback Machine come strumento per accedere alle versioni precedenti delle pagine Web (dopo il definitivo accantonamento della cache di Google Search), Archive.today (conosciuto anche come Archive.is o Archive.ph) è diventato inviso a molte realtà aziendali.
La differenza principale sta nell’assenza di regole: il servizio consente di salvare istantanee di pagine Web senza restrizioni, senza rispettare il file robots.txt e senza meccanismi di opt-out. Ciò significa che i siti non possono impedire l’archiviazione dei propri contenuti.
Una libertà che, per molti utenti, rappresenta una garanzia contro la censura o la manipolazione delle fonti; ma per altri — in particolare per le testate giornalistiche — costituisce un modo per aggirare i paywall e diffondere gratuitamente articoli protetti da copyright.
Nonostante le contestazioni, il progetto è sopravvissuto per anni grazie a una gestione decentralizzata, al supporto di più domini e, presumibilmente, a donazioni dirette. Episodi di sospensione dei domini non hanno mai realmente compromesso la continuità del servizio, la cui infrastruttura e localizzazione restano tuttora avvolte nel mistero.
L’ordinanza dell’FBI e il “canarino”
La vicenda è esplosa quando, a fine ottobre 2025, l’account ufficiale X di Archive.today, silente da oltre un anno, ha pubblicato un messaggio enigmatico: “Canary”, seguito da un link a un file PDF.
Il riferimento al “canarino” richiama la pratica mineraria di portare un uccellino in gabbia per rilevare gas tossici invisibili: la sua morte era un segnale di pericolo imminente. In ambito digitale, un warrant canary è una strategia usata dai gestori di servizi per segnalare indirettamente di aver ricevuto delle richieste da Autorità governative. L'”uscita” su X di Archive.today potrebbe però anche fare riferimento al fatto che “un canarino” ha riferito al gestore del sito lo scottante particolare.
Il documento collegato al post sembra essere una copia dell’ordinanza con cui il tribunale statunitense autorizza l’FBI a richiedere a Tucows i dati dell’intestatario del dominio Archive.today. Tra le informazioni richieste figurerebbero indirizzi, log di connessione e dettagli di pagamento. L’autenticità del documento, tuttavia, non è ancora stata verificata da fonti indipendenti.
Le possibili motivazioni dell’indagine a carico di Archive.today
L’interesse dell’FBI per Archive.today potrebbe avere diverse spiegazioni:
- Violazioni del diritto d’autore. L’uso del servizio per eludere paywall e archiviare materiale protetto costituisce una potenziale violazione sistematica della normativa statunitense sul copyright (DMCA). Tuttavia, è opportuno osservare che il servizio (come lo stesso Common Crawl) può memorizzare solo le pagine il cui paywall non appare con JavaScript abilitato. Difficile sostenere che un bot o un crawler debba obbligatoriamente usare JavaScript.
- Sospette attività di scraping. Secondo un’indagine del blogger finlandese Janni Patokallio (2023), Archive.today si servirebbe di una rete di bot con IP variabili per aggirare le difese anti-scraping dei siti, attività che potrebbe configurare un potenziale abuso dei sistemi informatici. In un altro articolo spiegavamo quando lo scraping è legale e quando non lo è.
- Origine e finanziamento oscuri. Diverse inchieste hanno cercato di identificare i responsabili del progetto Archive.today. Alcune ipotesi puntano verso la Russia, altre verso un sviluppatore statunitense. L’FBI potrebbe indagare su possibili connessioni con attività di intelligence o flussi di denaro non tracciati.
In ogni caso, la natura transnazionale del servizio — con domini e infrastrutture distribuite tra diversi Paesi — complica l’applicazione di qualunque misura coercitiva.
Un nodo geopolitico e legale
Il caso Archive.today mette in luce le tensioni crescenti tra libertà digitale, sovranità nazionale e cooperazione giudiziaria internazionale.
Se Tucows dovesse effettivamente fornire all’FBI i dati richiesti, si aprirebbe un precedente significativo: un’autorità statunitense otterrebbe informazioni su un servizio che, pur operando globalmente, non ha una base legale chiara negli USA.
Allo stesso tempo, un eventuale legame con la Russia — o anche solo il sospetto — conferirebbe alla vicenda un ulteriore peso politico, in un contesto di crescente rivalità digitale tra potenze.
Indipendentemente dall’esito dell’indagine, il caso di Archive.today riaccende il dibattito su chi debba detenere il potere di preservare la memoria del Web. Da un lato, la Wayback Machine e progetti simili operano secondo criteri di trasparenza e conformità legale; dall’altro, servizi come Archive.today garantiscono un archivio più libero, ma anche più opaco.
L’equilibrio tra il diritto all’informazione e il rispetto delle norme è fragile, ma allo stesso tempo si assottiglia sempre più anche il confine tra resistenza alla censura e possibili violazioni della legge. In ogni caso, un eventuale smascheramento dei gestori di Archive.today potrebbe segnare la fine di un’epoca: quella in cui l’anonimato tecnico permetteva a una singola entità di riscrivere — o salvare — la storia digitale dell’informazione mondiale.